Agenda condivisa

Al governo Monti non c’è alternativa

di Giuseppe Ossorio

Il "Corriere della Sera", a metà agosto, ha pubblicato una lettera di Michele Boldrin e di altri intellettuali, i cui contenuti ricalcano i punti programmatici che il Partito repubblicano ha presentato ufficialmente al Presidente Mario Monti alla formazione del suo governo. I firmatari di quella lettera ci pare che si pongano l’obiettivo di una nuova formazione politica. Il Pri vuole allargare l’area politica liberaldemocratica, che strutturalmente già esiste, necessaria per "Salvare l’Italia", perché il paese, mai come in questa fase, ha bisogno di maggiore aggregazione.

Il Partito Repubblicano con la manifestazione di Roma del 7 luglio è impegnato con i suoi iscritti e il suo programma per una Costituente Liberaldemocratica. Esiste il pericolo reale che alle prossime elezioni politiche vi sarà un’ulteriore frantumazione del sistema politico. Ciò è un pericolo per l’Italia, con un ceto medio impoverito e un sistema produttivo al collasso. Le manifestazioni regionali dell’Edera che si terranno nelle prossime settimane, e quella successiva di Roma di fine ottobre, avranno appunto l’obiettivo di allargare il più possibile l’area politica liberaldemocratica.

In questi anni non si è costruita un vera alternativa politica fra i due schieramenti, quello liberale in senso lato e quello socialista riformista. Eppure era necessario per superare gli accomodamenti consociativi e le pratiche parlamentari poco virtuose che hanno alimentato a dismisura, negli ultimi quaranta anni, la spesa pubblica dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. La destra non ha saputo interpretare una sana politica liberaldemocratica; la sinistra è ancora alla ricerca di un suo profilo riformista, tanto da dover inseguire il moderatismo centrista. Un doppio obiettivo mancato, di cui tutti facciamo le spese.

E’ un bene, allora, chiamare a raccolta le forze dell’imprenditoria e della cultura (ma come escludere il mondo del lavoro?) attorno al progetto liberaldemocratico, che non può essere un liberismo dottrinario. Senza compromessi, quest’area politica dovrà riassumere nelle proposte il segno della complessità come metodo interpretativo della società.

Ciò che può apparire in netta contraddizione (mercato - pubblico) può diventare una opportunità se non ci si ferma alla etichette ma si tiene conto della realtà storica. "Più Stato dove si deve, meno Stato dove si può" è una esortazione che ancora non trova successo.

Il grande sforzo da compiere rimane quello di liberalizzare il Paese non solo sul terreno economico, ma, soprattutto, su quello della concezione generale della vita, dai diritti civili al ruolo da assegnare allo Stato. Una rivoluzione culturale che impone di ripensare dalle fondamenta l’impegno politico nelle Istituzioni.

Noi pensiamo che un semplice appello non costituirà meccanicamente una nuova formazione politica.

Nemmeno pensiamo che possa esservi un punto di aggregazione spontaneo o spontaneista di un nuovo movimento liberale privo di reale radicamento e di rappresentanza sociale. Senza aggiungere che un partito politico si costituisce e vive anche perché alla base vi sono rapporti umani nel gruppo dirigente e fra gli associati. Fattori che non si inventano a tavolino.

Il Partito Repubblicano Italiano, con i suoi parlamentari, sostiene con lealtà il governo di Mario Monti perché ne condivide l’Agenda. Chiede al Presidente del Consiglio di varare con urgenza i 350 decreti attuativi dei provvedimenti presi finora, altrimenti l’azione governativa perderà di forza.

Ma le liberalizzazioni sono, tuttora, al palo, e senza di esse l’economia italiana faticherà non poco ad imboccare la via della ripresa. Nel medio tempo la pressione fiscale difficilmente diminuirà perché si scontra con la inderogabile necessità di mantenere il bilancio in pareggio.

I repubblicani naturalmente occupano l’area politica di cultura liberaldemocratica. Sono impegnati a ricomporla credendo, innanzitutto, in un’unione Europea con un governo eletto dal Parlamento europeo, con una disciplina giuridica di tutti gli istituti europei di governo dell’economia.

Il liberalismo italiano ha avuto nomi eccellenti ma ha sempre faticato ad affermarsi perché, sembra un paradosso, non è stato accolto dal suo destinatario fondamentale: la borghesia o classe media - o come altro si vuol dire. Perché? Questo è, a mio avviso, l’interrogativo centrale non banale di discussione, attualissima per irrobustire - partendo dal Pri - un’area politica tuttora dispersa.